Sono più di tre milioni in Italia. Qualcuno li chiama “il popolo degli invisibili”. Ogni giorno si prendono cura di un familiare o di un amico colpito da tumore. Sono i caregiver, cioè coloro che “accompagnano nel percorso di cura”.
Dal CORRIERE DELLA SERA del 24-12-2017
Entrano ed escono dagli ospedali, dagli ambulatori, dagli uffici amministrativi, da un patronato, da un negozio di sanitaria per sostenere e aiutare un familiare lungo il percorso della malattia. Le difficoltà che devono affrontare, le loro necessità, le problematiche sono ancora poco comprese. Per questo Fondazione AIOM ha realizzato il quaderno informativo “Caregiver in oncologia”, una guida sintetica per rispondere alle domande di aiuto del caregiver quando inizia il suo percorso di supporto del paziente. ” Abbiamo voluto porre attenzione a queste persone, alle loro domande e difficoltà per aiutarle nel percorso di accompagnamento del paziente oncologico – afferma Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. Perché non si sentano isolate e per alleggerire il loro carico di pensieri e preoccupazioni. Questa pubblicazione nasce dal contributo e dall’esperienza di oncologi, infermieri, psicologi, assistenti sociali, amministrativi. È una traccia per far capire che, anche se tutti devono guardare il paziente, i caregiver non possono rimanere “invisibili”. Il quaderno informativo “Caregiver in Oncologia” è scaricabile dal sito di Fondazione AIOM.
IL TEMPO DEDICATO A SÈ E AL PAZIENTE
Mediamente un caregiver dedica circa 8 ore al giorno all’assistenza del proprio familiare, ma in diverse situazioni il tempo dedicato è superiore: basta pensare alle persone allettate o con difficoltà nell’eseguire semplici movimenti e nel soddisfare i bisogni basilari. “Prendersi cura di una persona malata richiede la capacità di adattarsi continuamente alle sue mutate esigenze in funzione dell’evoluzione della patologia – spiega Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. spesso il caregiver deve conciliare la responsabilità di cura verso il malato con gli impegni lavorativi e le incombenze familiari. Tutto questo assorbe molte energie a livello fisico e mentale. È quindi alto il rischio che il caregiver trascuri se stesso, sviluppando insonnia, stanchezza, ansia e depressione. Per prevenire questi disturbi, è indispensabile avere la giusta cura di sè per riconoscere eventuali sintomi e manifestazioni di disagio (ad esempio sentimenti di impotenza o di colpa, rabbia, nervosismo ecc). È importante cioè che il caregiver mantenga una vita attiva, dedicando tempo per sè e per il riposo. Solo così potrà disporre delle energie necessarie per stare a fianco del paziente”.
LE ATTIVITÀ PIÙ STRESSANTI
Alcuni studi evidenziano come l’impatto della diagnosi di tumore può persino essere maggiore sui familiari/caregiver rispetto al paziente. Fra le attività più “stressanti” vanno inclusi: l’aiuto diretto nei bisogni fisici, la gestione dei sintomi; gli effetti collaterali delle cure antitumorali; i viaggi per raggiungere l’ospedale; le attese per le visite e le cure. “La legge prevede diverse tutele in ambito lavorativo per il caregiver (permessi, congedi, lavoro part time) che permettono di conciliare le esigenze di cura del malato con il mantenimento del posto lavorativo – evidenzia Claudia Santangelo, Presidente dell’Associazione pazienti “Vivere senza stomaco (si può!)” -. Però il caregiver deve saper chiedere aiuto se non riesce a reggere la pressione. L’intervento di supporto psicologico può essere utile nelle diverse fasi della malattia. Dopo la diagnosi di tumore, i ruoli, precedentemente ben definiti all’interno del nucleo familiare, sono sottoposti a drammatici cambiamenti e, soprattutto quando la malattia dura nel tempo con continui trattamenti, il supporto psicosociale al caregiver diventa necessario per permettere loro di poter continuare a offrire aiuto”.
IL TRAMITE NELLE RELAZIONI
Può capitare che il paziente chieda di essere sostituito nella gestione delle dinamiche relazionali. “Un compito non semplice che deve avere anche l’obiettivo di non perdere la trama delle relazioni con amici, conoscenti o colleghi così che il malato non si senta isolato – continua Alessandro Comandone, Direttore Oncologia Medica all’Ospedale Gradenigo di Torino -. Inoltre la presenza del caregiver a fianco del malato quando deve recarsi dal medico è fondamentale non solo per sostenerlo emotivamente, ma anche per aiutarlo a comprendere le informazioni sulla malattia, sulle terapie e gli esiti attesi. Per questo è opportuno che il caregiver ponga all’oncologo tutte le domande necessarie per assicurare il pieno rispetto delle prescrizioni. La mancata osservanza di queste indicazioni può compromettere l’efficacia dei trattamenti. Inoltre il caregiver può aiutare il malato a riferire all’oncologo qualunque manifestazione insolita e affrontare gli effetti collaterali delle terapie antitumorali”.
I CONSIGLI PRATICI
Nel quaderno informativo di Fondazione AIOM sono contenuti anche alcuni consigli pratici, che spaziano salla cura e igiene personale del malato, alla gestione del paziente con catetere vescicale (o nefrostomia, cistostomia, ureterostomia, colstomia) all’alimentazione e idratazione (per via naturale, enterale o parenterale). “L’informazione e la formazione del caregiver sulla gestione dei principali bisogni possono essere estremamente utili – sottolinea Gabriella Farina, Responsabile Oncologia all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano -. Imparare a controllare le mucose, prevenire le infezioni e le lesioni da decubito controllando la cute aiuta il caregiver a sentirsi parte attiva nella gestione del paziente e ad avere meno paura di quello che accadrà. Il momento dell’igiene è spesso occasione per valutare la salute della persona, le sue reazioni alla malattia e la sua capacità di affrontare la situazione. il caregiver può inoltre collaborare proattivamente con il medico e gli infermieri del servizio domiciliare fornendo, ad esempio, notizie su alimentazione, bilancio idrico, stato veglia sonno del paziente e sull’efficacia della terapia antalgica, e diventando così parte integrante dell’equipe di cura”.